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Libertà dentro il limite

Voglio condividere, con te che leggi, questo frammento della mia vita.

Ero al mare l'altro giorno.

Spesso vado a fare una bella camminata prima di iniziare con lo studio; prima di incontrare i miei compagni di viaggio: i miei pazienti. L'aria è fredda, freddissima, ma quella sensazione di pizzicore sulla punta del naso mi sveglia, con una dolcezza strana. Il lungomare di Tarquinia è deserto e questo mi piace, mi permette di ascoltare meglio quello che accade intorno; il suono della vita che piano piano fa capolino dal torpore della notte.

Anche il mio corpo inizia a svegliarsi, e quella pigrizia iniziale lascia lo spazio ad un entusiasmo un pò infantile, un friccicore dell'anima. Cammino, cammino e.... osservo. Il mare è calmo, quieto, fa avanti e indietro con fare gentile e rispettoso.

Respiro. Penso. Mi rattristo. Mi commuovo. Piango. Mi consolo.

Faccio un pò tutto da sola (dirai). Beh sì, in effetti sì.


Mi piace quando questo accade, quando riesco a consolarmi. E' come se trovassi un tesoro in un posto difficile da raggiungere; ma quando lo trovo e lo apro, la sensazione è come quando nei film, l'eroe apre lo scrigno del tesoro dei pirati e una luce abbagliante lo inonda: gli occhi si allargano dalla sorpresa e dalla meraviglia, una gioia profonda sembra riempirlo. Ecco mi accade più o meno così quando mi permetto di consolarmi; quando trovo quel tesoro.

La passeggiata è lunga e mi stanco un bel pò. Mi sento soddisfatta e per premiarmi decido di prendere un bel caffè. Si, sono una fan del caffè. Per me il caffè è coccola, premio, ristoro, intimità, condivisione, incoraggiamento. Insomma, non è solo un caffè.

Entro nel bar sul lungomare piena di bellezza e serenità e, all'improvviso una sensazione di pesantezza mi raggiunge al petto: mi ricordo che non si può prendere il caffè al banco; che te lo devi portare via come fossi un ladro. Devi pure sbrigarti ad uscire perchè potrebbe esserci la polizia che controlla. Mi cadono le braccia; si spegne tutto quello che mi aveva spinto ad entrare. Tremenda sensazione quella di sentirsi spenti; sentire che qualcosa ti spegne.

Ma proseguo e ordino con gentilezza il mio caffè; mi sembra che la gentilezza possa essere l'unica cosa che mi mantiene umana e vicina agli altri in questo periodo.

Il caffè in una mano e un bicchiere d'acqua nell'altra ed esco.

Vedo il mare vicino e qualcosa mi dice "vai". Mi incammino verso la spiaggia. Un pò di imbarazzo fa capolino sulle guance: sembra che porti a spasso il caffè, bah!


La sabbia è morbida e fresca; anche se ho le scarpe sento l'umidità passare. Lo sguardo è rapito dal mare e in quel rapimento vedo un bellissimo tronco d'albero adagiato quasi in riva al mare. E' imponente, spoglio. Mi ricorda i tronchi spezzati dalla tempesta che ho visto in Trentino la scorsa estate. Sembra dormire, quieto. Mi avvicino e quasi come a chiedergli il permesso, mi siedo. Poggio la mia acqua e inizio a bere il caffè. Forse il più buon caffè di sempre. Non perchè fosse particolarmente buono. Lo era, ben intesi; ma quello che gli stava dando il premio come caffè migliore della storia era tutto quello che c'era intorno, in quel preciso momento: il rumore gentile del mare, il tronco dormiente, l'aria friccicarella, la sabbia morbida, qualche cinguettio in lontananza, l'odore della salsedine, la luce del mattino.

Avrei trovato tutto questo davanti al bancone del bar?

Avrei sentito tutta questa libertà davanti al bancone di un bar?


Forse no.


Un grande dono questo, in un momento così dura della mia vita; della vita di tutti.

Dove tutto sembra essere pervaso solo da limiti e impossibilità.

E proprio stare dentro quel limite mi ha permesso di trovare una grande libertà, la mia.




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